Vittorio Lodolo D’Oria: Scuola e giustizia parlano lingue diverse? – Professione Insegnante
Per fortuna aumentano i casi di “assoluzione” nel triste fenomeno (esclusivamente italiano, chissà perché) dei Presunti Maltrattamenti a Scuola (PMS). Da quando l’Autorità Giudiziaria (AG) è entrata a gamba tesa in ambiente scolastico, i PMS sono aumentati di 14 volte in 6 anni dal 2014 al 2019. Possibile che l’AG costituisca oggi la maggiore causa del fenomeno stesso anziché la sua soluzione? Non è questa la sede per dibattere la questione a fondo, ma appare a tutti evidente che inquirenti non-addetti-ai-lavori (carabinieri, finanzieri, polizia municipale, di Stato, Postale) hanno scarsa dimestichezza nel valutare l’azione professionale di educatrici di asili nido, maestre di scuole dell’infanzia o di scuole primarie. Grazie alle telecamere nascoste le Forze dell’Ordine potranno poi estrapolare, decontestualizzare, selezionare, interpretare, drammatizzare infine trascrivere le immagini registrate esercitando quello spirito colpevolista (vedi sotto) che probabilmente li connota professionalmente. Si badi bene che in ciascun episodio di PMS non si è mai trattato di reato grave o di sangue come quelli che hanno invece luogo in famiglia (posto invero assai meno sicuro della scuola).Molti giudici stanno arrivando a comprendere che la gran parte dei comportamenti contestati alle maestre “non integrano la soglia del penalmente rilevante ma possono eventualmente ritenersi esauribili o censurabili da un punto di vista disciplinare e/o civilistico”. In altre parole, se ne deve occupare il dirigente scolastico in prima persona, anziché vedersi cortocircuitare dai genitori attraverso denunce all’AG. È dunque con grande soddisfazione vedere concludersi un caso iniziato male ed evoluto peggio. Non dimentichiamo che sono oggi quasi 200 le maestre alle prese con procedimenti penali simili, figli dei medesimi equivoci. Un record assoluto (negativo) tutto italiano, per il solo motivo che nei Paesi occidentali tocca allo schoolmaster occuparsi di certe cose e non ai policemen. A noi italiani peraltro non sembrano importare, ad esempio, le cospicue spese d’indagine e processuali per l’erario: risorse umane ingenti e costi mediamente superiori ai 10.000 euro per noleggio e installazione delle telecamere nascoste. Non ci converrebbe – come fa l’Europa – restituire certe competenze ai DS e impiegare le Forze dell’Ordine nel combattere il crimine vero anziché “spiare le maestre dal buco della serratura”?
Accuse al maestro di Pero (MI) nel 2018
Due anni fa cominciava la disavventura per il sessantenne maestro di Pero, oggetto di intercettazioni con telecamere nascoste per un mese intero (15+15 gg). Accusato di maltrattamenti a danno dei bimbi della Scuola dell’Infanzia a lui affidati, veniva posto per quasi 16 mesi agli arresti domiciliari, quindi condannato in primo grado a 2 anni e 8 mesi con rito abbreviato. Si trovava infine a dover pagare le spese legali e a risarcire le numerose parti civili costituitesi. Questa la breve sintesi di una storia umana, sofferta, che ha visto esposta anche la famiglia dell’insegnante all’immancabile gogna mediatica. Ma ecco il colpo di scena: testacoda inatteso e assoluzione del maestro in appello perché il fatto non sussiste. Analizziamo di seguito alcuni passaggi della sentenza di appello operata da un giudice scrupoloso e attento:
- Proroga delle intercettazioni inutile. …pare condivisibile l’affermazione difensiva nella quale si osserva che se le condotte del maestro fossero state così maltrattanti, non ci sarebbe stato alcun bisogno di chiedere una proroga delle operazioni.
- Trascrizione fantasiosa dei filmati. …va osservato che quasi mai la descrizione delle condotte del maestro effettuata dagli inquirenti, come evidenziato dalla difesa, corrisponde a quanto si vede nei filmati.
- Interpretazione acritica delle immagini intercettate. …il giudice di primo grado si è fidato delle didascalie presenti sotto i filmati estrapolati dai Carabinieri di cui ha sposato la lettura. Lettura acritica che ha spinto anche il GIP a emettere un provvedimento di custodia cautelare di estrema gravità, senza considerare la personalità dell’imputato.
- Indagine colpevolista. Anche limitando la visione ai soli spezzoni selezionati dagli investigatori e dunque decontestualizzati, non si può non rilevare come lo spirito che ha permesso le indagini sia smaccatamente colpevolista, circostanza della quale sono prova evidente già i titoli attribuiti ai video selezionati.
- Violenze inesistenti nei filmati. Non si comprende in quali filmati il giudice di prime cure abbia visto il maestro che vessava i bambini “strattonandoli energicamente, prendendo con violenza la loro testa e sbattendola con forza, tirando loro schiaffi e colpendoli talvolta con le ciabatte”. In nessun filmato inserito sui CD si vede mai una condotta del genere. Non solo non vi è alcuna traccia di colpi con le ciabatte, ma neppure di teste sbattute, di schiaffi o di colpi in testa.
- Clima di paura tra i bimbi non esiste. Un altro passo che non trova riscontro in alcuno dei 42 video contestati è quello in cui il giudice afferma: “i bambini oggetto di tali condotte di sopruso sfociavano spesso in pianti isterici, mentre gli altri bambini che osservavano tali condotte rimanevano attoniti e sbalorditi di fronte a quanto i loro compagni subivano”. Nulla di meno rispondente al contenuto dei filmati, in cui si vede chiaramente che i bambini non si occupano minimamente di cosa accade agli altri, continuano a giocare, ridere, piangere, picchiarsi, come facevano un momento prima dell’intervento del maestro.
- Strumenti leciti per punire i bimbi. Il giudice (di prime cure) valuta poi come “vessazioni morali” il fatto di far mangiare i bambini da soli come castigo per comportamenti vivaci. Valutazione sinceramente perniciosa se si considera che allora nessuna punizione potrebbe essere inferta ai bambini che destabilizzano la serenità di una classe.
Questi spunti hanno indotto la Corte di Appello di Milano a trasformare la sentenza di condanna in primo grado in assoluzione. Cerchiamo ora di comprendere come sia possibile un simile rovesciamento di giudizio, apparentemente inspiegabile. I giudici di primo e secondo grado hanno indubbiamente visto e commentato gli stessi filmati, pur giungendo a conclusioni diametralmente opposte, o a sostenere che alcuni episodi sono addirittura inesistenti. Escludendo per forza di cose la malafede, l’unica spiegazione plausibile risiede nelle differenti sensibilità e valutazioni in ambito pedagogico-educativo di ciascun giudice che non è certamente un addetto-ai-lavori. Alla stessa immagine viene pertanto attribuito un significato pedagogico addirittura opposto, quasi a ricordarci che si tratta di materia scolastica-professionale ancor prima che giuridica e penale. Quanto meglio sarebbe stato se a occuparsi del caso fosse stato il dirigente scolastico, con le sue competenze professionali didattico-pedagogiche: avrebbe potuto intervenire tempestivamente e a costo zero. La cortocircuitazione della figura del preside, da parte dei genitori attraverso l’Autorità Giudiziaria, non può che creare malintesi, esporre i bimbi a eventuali prolungati maltrattamenti, determinare insensate spese di risorse pubbliche, esporre l’innocente a ingiusta sentenza, infine arrivare a far dell’Italia l’unico Paese occidentale con il dilagante fenomeno dei presunti maltrattamenti a scuola. Al contrario la scuola è il luogo più sicuro anche per gli alunni prescolarizzati, come ci conferma il recente congresso internazionale dei medici pediatri. In questa sede è stato lanciato il vero “allarme maltrattamenti” dei bimbi tra le mura domestiche durante il lockdown per la pandemia.
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