Contro la Buona scuola si schierano gli intellettuali – Repubblica.it
Il patto tra scuola e società, “oggi andato in frantumi”, può essere ottenuto “solo attraverso un ingente investimento politico e finanziario, pur nella contingenza data, che riallinei l’Italia almeno agli standard medi dei Paesi Ocse”. Gli intellettuali italiani, e italiani all’estero, segnalano tre aspetti fondamentali che dovrebbero ispirare qualsiasi tentativo di ripristino della “Buona scuola”: “Restituire prestigio sociale e morale alla professione docente; rilanciare l’autonomia delle istituzioni scolastiche; rafforzare le relazioni tra la scuola e l’ambiente in cui opera”. Sul recupero di senso dell’insegnamento, nella normativa all’attenzione del Parlamento “non c’è nulla di sostanzialmente nuovo, se non il tentativo di aggirare le conseguenze della severa condanna subita dall’Italia in Europa per il trattamento degli insegnanti precari”. E poi, “è sbagliato e paradossale considerare realizzata l’autonomia scolastica puntando, come punta il Governo, sulla centralità della figura del dirigente scolastico. Con la pervicace riproposizione anche a questo livello di un modello organizzativo incentrato sulla figura del capo che detta e realizza i suoi indirizzi. Il modello ripropone il vecchio e fallimentare centralismo e crea il presupposto per la deresponsabilizzazione del personale”.
Sbagliato e riduttivo è, poi, “riassumere il rapporto tra istituzione scolastica e società in un’alternanza tra scuola e lavoro la quale si risolva, come consente il progetto governativo, nel tramutare temporaneamente gli studenti in lavoratori generici e senza diritti, per la messa a disposizione delle imprese di manodopera a costo basso o nullo”. Si legge a chiusa: “Troppe volte, e in un brevissimo lasso di tempo, la scuola ha subito riforme. Nel 1997, nel 2003, nel 2008”. Si conclude: “Perché seguitare a finanziare direttamente o indirettamente le scuole private, favorendone la scelta in assenza di seri controlli sul loro operare ed i suoi effetti, quando non si riesce ad assolvere l’obbligo di sostenere adeguatamente le scuole pubbliche? Incentivare la frequenza di scuole private sarebbe una vera e propria resa della democrazia repubblicana”.
Dall’Università di Bari il filologo Luciano Canfora ha autonomamente scritto, difendendo gli idonei del concorso 2012 (che il disegno di legge ha deciso di assumere solo nel 2016): “La demagogia delle centomila assunzioni non può calpestare i diritti dei 6.300 docenti che hanno superato il concorso”. E poi: “Le ragioni di chi ha conseguito un risultato grazie alla propria bravura, quelle dei docenti che hanno superato l’ultimo concorso a cattedre, non possono essere rimosse per opportunismo politico”. In difesa degli “idonei 2012” il costituzionalista Michele Ainis ha scritto un parere pro veritate che definisce incostituzionale, oltreché “irragionevole e irrazionale”, l’articolo che rimanda a settembre 2016 “i docenti promossi al concorso e assume subito i docenti bocciati”. In uno Stato costituzionale di diritto “il legislatore non è assolutamente libero di fare e di disfare”.
Tra gli intellettuali contro “La buona scuola” c’è anche un intellettuale organico al Pd, il Pd di minoranza. Miguel Gotor, ingaggiato al partito da Bersani (che lo immaginava ministro dell’Istruzione), insegna Storia moderna alla facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino. Dice Gotor: “Entrando in Senato mi ero ripromesso di non occuparmi di scuola e università, per evitare conflitti di interessi. Poi cinquanta mail giunte all’account personale mi hanno fatto riflettere sui rischi di questa riforma e mi hanno fatto riflettere su quanto e profondamente la “Buona scuola” sia estranea agli insegnanti. Il Partito democratico non può non tenere conto di questo segnale politico, sarebbe cieco”.
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